Ero disteso in mezzo ad un’isola di fiori, attorno le viti con i loro filari infiniti, fissavo le sfumature azzurre del cielo con qualche ramo disadorno che si intrometteva. Il sole stava scivolando sui tetti delle case e le poche nuvole giocavano a travestirsi da Arlecchino. Qualche insetto strano di tanto in tanto mi attaccava in fronte ed io svogliato e rapito da tutta la bellezza che mi circondava lo lasciavo fare. Stavo lì e pensavo a quanto sono fortunato. Ho tutta la mia famiglia, nessuno per ora è venuto a mancare, ho una bellissima ragazza, due lavori, manca poco alla mia laurea (almeno spero) e vivo in Italia, il paese che nell’immaginario collettivo è sinonimo di romanticismo, buon gusto e passione dell’arte. In realtà non mi è andata così male, sarei potuto nascere in Francia.
Sfrecciavo in bici con il vento fresco primaverile che si insinuava nel giubbino, per le stradine dissestate tra i campi che rendono la Mountain bike un’pò avventurosa. Ai lati gli alberi, alcuni con le prime piccole foglie e altri con profumati fiori rosa o bianchi che ricoprivano rami e tronco. Per le distese di erba alta, quella che mette voglia di correrci dentro, e per le distese di fiori che si sono impossessati di terra, una delle migliori forme di appropriazione indebita nella natura. Schivavo i sassi e saltavo le buche mentre ammiravo e fantasticavo sulla vita rurale a stretto contatto con natura ed animali. Chissà come sarebbe fare la vita del contadino e dell’allevatore? Molto probabilmente a loro non è cambiato molto circa la routine quotidiana, la terra e gli animali hanno i loro ritmi a prescindere da pandemie o catastrofi economiche. Sembrano così distanti anche se in realtà sono alla base di tutto. Dalla prima rivoluzione agricola sono loro a provvedere al sostentamento della popolazione, senza i coltivatori o gli allevatori tutto questo non ci sarebbe. Se si dovessero fermare loro si fermerebbe tutto?
Seduto alla sedia della mia scrivania guardando il monitor del mio pc. Nella destra la biro nera, sotto il foglio per gli appunti, nella sinistra una tè caldo. Come gli ultimi 10 giorni anche oggi ho passato ore davanti a questo schermo con la mia inseparabile penna Bic nera, le slide e i fogli di carta da riempire di nozioni. Ma una cosa ha colpito il mio interesse durante i minuti che mi concedo per lo svago; ho scoperto le case passive. Sono chiamate earthship inventate dall’architetto americano Michael Reynolds. Sono case edificate con materiali riciclati, con una precisa posizione in relazione al sole, autosufficienti, termo autonome ed inoltre possiedono anche una sorta di serra che permette il parziale sostentamento di chi le abita. Tramite tubi che passano sotto la casa, posizionati contro vento, d’estate provvedono all’arieggiamento degli interni. Pannelli solari per riscaldamento o cottura cibi. Biomasse di cemento poste al sole per mantenere il calore interno negli inverni. Raccoglitori di acqua piovana per innaffiare, tirare lo sciacquone, filtrata per doccia o lavandini. Pneumatici riciclati per i muri portanti. Me ne sono appassionato perché è da tempo che rifletto su come e quanto sia possibile avere un’abitazione ad impatto nullo. Una forma mentis più coscienziosa e consapevole nei confronti dell’ambiente durante progettazione e costruzione potrebbe veramente fare la differenza( in tutti gli ambiti). Purtroppo i soldi fanno la differenza e quindi via alle speculazioni. Se esistesse un organo preposto alla previsione dell’impatto sul sistema terra prima della messa in commercio o costruzione di edifici, invenzioni e altro? Se ci avessero pensato due volte prima di mettere in commercio il motore a scoppio?