Giorno 80 “L’eredità dei primi amanti”

Prima ancora che questi palazzi sfioranti le nubi e sfidanti la gravità sorgessero, molto prima dei templi dai lunghi porticati gli alti soffiti e le ricche decorazioni, prima ancora delle strade e dei mezzi di trasporto che le sfruttano, addietro rispetto alla nascita degli uomini e delle donne che progettarono ed in seguito crearono religione, lavoro, socialità, economia, famiglia, etica, in principio primo antecedente ai concetti di bene, male, giustizia ed iniquità, vi era la natura. Essa prolificava imperterrita e bramosa, ingorda di vita procreava facendo l’amore con se stessa costantemente incessantemente. Non vi era un minuto in cui la frenesia cessasse. Avvolgeva tutto nella sua estasi imperitura in cui nulla era statico, tutto mutava, al solo tocco con una languida carezza si appropriava dell’eternità immobile per renderla parle di sè. Tutto trasformava, ciò che era poteva scomparire ora per essere altro in futuro. Ciò che rimaneva immutato in apparenza era immoblie nel mondo macroscopico mentre in quello micro, più a fondo, più dentro, variava con moto periodico. Superficialmente ciò che non appariva mutabile in realtà possedeva un ticchettio interno assegnatogli da lei, il timer della forma, il tempo della stasi. Allo scadere delle ore la forma mutava e ciò che prima era sasso diveniva muschio per divenire terra e trasformarsi in cibo per dare forza al frutto che diverrà seme pianta, legno, nutrimento, roccia. Tutto per mano della natura cambiava, si aggregava, si allontanava, si riavvicinava sotto altre sembianze, creava, distruggeva, modellava. Questo rito orgiastico aveva il solo ed unico fine di autocompiacersi, fagocitandosi per saziarsi e riproducendosi per espandersi, il tutto in sè ma conquistando ciò che era fuori di sè. Maggiore era lo spazio, di qualunque forma, che le si parava di fronte e maggiore era la sua bramosia e la sua voglia di appropriarsene. Inquieta e mai contenta desiderosa di sè e di altro non aveva fine e con le unghie e con i denti si aggrappava anche al più piccolo atomo per sopravvivere e dar luogo ad altri come lei che possedevano lo stesso impeto e la stessa visione del mondo. La si può chiamare natura ma anche tempo e nel suo scorrere ciclico era partito dal nullo per finirvisi nuovamente. Era accaduto già molte altre volte che da un punto ne nascessero due per poi moltiplicarsi e divenire tutti tanto simili e ammassati da ritornare un unico punto, solo più grande, visto da una differente prospettiva. Tutte le nature che furono e che saranno in realtà non sono altro che una unica natura frazionata, essa è se stessa e le sue parti, ogni parte a se stante ed ogni parte infinitamente divisibile, ognuna indipendetemente dall’inifinita o finita dimensione era natura, diversa perchè se stessa ma uguale alle altre ed ugualmente tra loro formavano altre nature sia che venissero accumunate o frazionate. Inavvertitamente e senza cognizione di causa, senza saperlo, senza essere pronta, la natura o il tempo incontrò la fine dello spazio, in ogni sua parte più piccola e più grande si scontrò con il nulla. Non poteva fagocitare, non poteva mutare, non poteva cambiarlo. Come lei il vuoto era unicamente unico ed incredibilmente vasto. Entrambi erano infinitamente divisibili ed ogni infinitesima parte era identicamente uguale alle altre e separazioni ed aggregazioni non definivano nulla di nuovo, sempre loro, mai altro, nulla e natura, vuoto e tempo. Erano diversamente uguali identici l’unica piccola ma immensamente grande differenza era che natura non era mai sazia, nata dallo stomaco delle dimensioni di quante volte poteva essere lei divisa, mentre vuoto possedendo tutto il nulla esistente non ne aveva bramosia di altro. Il loro incontro fù caldo, istanteneo e imperituro, un continuo e frenetico atto di scontro. Un limite invalicabile da ambedue le parti una lontana vicinanza che non creava fame in uno e nell’altro non saziava. Quella fu una sottile, sottilissima, inifinitamente sottile linea di demarcazione tra tempo e vuoto in cui e da cui il tutto si formava. Maggiore era la quantità del tutto che veniva a formarsi e maggiore era era l’impercettibile infinitezza che veniva sottratta al niente ed alla natura, entrambe in eguale misura partecipavano alla creazione infinitamente trascurabile del tutto che era frutto sia di uno che dell’un’altra. Quella singolarità inaspettata costituita da una sempre più immensa immensità apparentemente non era l’unica cosa che si formava. Se ne accorsero natura e vuoto mentre pezzo dopo pezzo dopo pezzo generavano tutto in quell’infinito bacio che li divideva, avevano generato un prezioso collante che teneva assieme il tutto e che oliava in continuazione quella sottile linea tra di loro, era ciò che li manteneva fissi, immobili, inamovibili entrambi colti ed intrinsecamente costituiti da inarrestabile forza, non erano più in grado di separarsi e ne di fare a meno l’uno dell’altra in una maniera che entrambi, in nessuna delle loro infinite parti comprendeva. Sapevano solo che quello era il loro scopo ed il loro unico senso, rimanere assieme separati dal tutto che era l’unico modo per potersi congiungere rimanendo uniti eternamente in un inconsistente abbraccio.

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